venerdì 5 giugno 2020

Sinola







Intraprendere un viaggio è una questione delicata e appassionata, che prende slancio dalla parte più profonda di noi stessi. Occorre che vi sia curiosità, e non la chiusura di chi fa di un territorio conosciuto, un regno da difendere in maniera ottusa da un pericolo inesistente. Regno di vetro, capace di andare in frantumi per un nulla, e dunque ripiegato entro mura invalicabili. Il confronto alimenta lo spirito e le possibilità: chi resta arroccato sulle proprie convinzioni rischia di vederle franare, prima o poi, insieme alla purezza di uno scambio che non di rado si rivela necessario alla conoscenza: che sia degli individui o delle cose, rimane una ricchezza da coltivare e custodire in ogni modo.
Abbiamo memoria e prova dell’immensa distesa di mondo che si allunga oltre i nostri occhi, e che non sempre viene tutelata e rispettata. Volerla percorrere è stata materia buona per gli esploratori che da tempi lontani hanno svelato le correnti marine, ogni nucleo di terra e di civiltà, arrivando a bramare in alcuni casi, una smania di possesso che ancora adesso si coglie bene tra le righe, e i fatti stessi. Chi ha occhi attenti lo nota senza troppo scavare in significati che non sempre troverebbe: è il dissenso, a godere dei consensi maggiori; e fosse solo un gioco di parole, sarebbe assai più facile impararne le regole.
Ecco una parte delle riflessioni affiorate dalla lettura di un romanzo di Paolo Ceccarini pubblicato da Prospero Editore, e intitolato Sinola: una storia che non potrebbe essere più attuale e più sentita e che va oltre la realtà, ma la porta con sé in ogni piega. L’intera narrazione è densa di nomi ricavati dalla sola fantasia e di terre che non hanno la forma esatta della nostra geografia, coi popoli che si distinguono gli uni dagli altri per delle differenze che non sapremmo trovare identiche a nessuna delle nostre, guardandoci allo specchio. Almeno, non nelle apparenze.
 
Nella lunga lotta per conquistare Sinola, città immaginaria situata in un punto allettante per le prospettive che offre e le condizioni che mantiene, avanza il viaggio di due fratelli: Sid e Dan; sono proprio loro i personaggi principali del racconto, introdotti con una pacatezza che rende graduale un incontro che avviene prima sulla carta, e poi per l’incantesimo sottile dell’empatia: non vengono presentati come eroi, e dunque innalzati a un livello che difficilmente genererebbe comprensione; ma nemmeno come derelitti: sono delle persone comuni, con personalità distinte e un po’ sofferte, simili a noi, nonostante l’eccezione che rappresentano. Vivono ogni loro giorno sapendo di doversi rassegnare troppo presto, a rinunciare a ciò che hanno imparato ad amare, anche invischiati in ogni genere di difficoltà: la vita che hanno intorno e dentro, i volti e i luoghi familiari, la spinta al desiderio, che in uno assume forme prima carnali e poi di sentimento; e nell’altro si palesa con la spinta e la formula dell’amore inteso nel senso più ampio e totalizzante, da inseguire e rinnegare in alternanza. Il loro essere fatti di carne e di respiro, culminerà in un’esistenza radicalmente diversa, un giorno non molto lontano da un presente che mette sulle loro spalle pochi anni, a farli adulti nonostante le apparenze piccine, tipiche dei loro simili: sono tydusiani con un aspetto da adolescente e un vissuto che si discosta dalle turbolenze di quell’età, conservando stralci di una ingenuità e di un candore intatto. Sono uomini per il difetto delle definizioni e non tanto per l’esperienza, e sono anfibi per metà, in attesa inquieta, spaventata e nervosa, di diventarlo per intero. Si muoveranno prima sulla terra, camminando. Poi in una nuova dimora, tutta nuoto, abissi, modi mai sperimentati di cibarsi. Avranno un’ulteriore vita in assenza di respiro, avventura indesiderata che atterrisce, ma che lascia loro almeno un cenno di felicità, condensato nell’ipotesi di incontrare una madre persa ormai da troppo tempo, anche lei mutante, intenta a vagare in chissà quale liquido orizzonte.
Impareranno una missione presa in prestito dalle idee coraggiose di un padre rivelatosi tale al di là del vero, per via di un incontro casuale e tenuto caro dai due fratelli: partiranno per una spedizione che attraverserà luoghi aridi, desolati, con la sorpresa di compagni di viaggio conosciuti sul loro cammino: un uomo grande e grosso dal cuore tenero, una donna che imparerà insieme a Sid, la perfezione delle sintonie impensate, e il tormento per le cose che non trovano mai un giusto incastro, seppure le forme si sfiorino spesso, avendo un’impronta che combacia pure col vuoto circostante. E poi un essere minuscolo, tenero e saggio: la mascotte di quel gruppo un poco sgangherato, che siglerà la forza e il sacrificio, persino l’astuzia data dall’unione di pochi, ma attenti e di un’umanità viva e fremente che impareranno ad accogliere con la mira infallibile degli affetti più saldi. Obiettivo di tutti, sarà difendere la loro terra dal dominio di uno strapotere che toglierebbe senso a una libertà che a dispetto di tutto deve resistere e legare, trascinare se serve, fino a un’oasi di salvezza che è nella condivisione, e nella separazione che non ostacola il mescolarsi di visioni e usanze nate spontanee, come un frutto dal fiore che lo precede di un soffio: anzi lo incoraggia. Rinnega dunque la massa uniforme, quando contempla l’appiattirsi di ogni slancio, in favore di un controllo freddo, malato e tagliente, fatto di soli interessi e prevaricazione.
 
Paolo Ceccarini disegna con parole abili la sensibilità dei personaggi, attraverso una lucidità di analisi di quel mondo che non sempre si fa ospitale e di sane vedute, e un’emotività che non si traduce mai nei toni melensi di chi punta a ottenere facili consensi. Le sue, sono le parole di un equilibrista che cammina in punta di piedi sulla linea sottile dell’utopia, per dimostrare che si può arrivare sani e salvi a destinazione: sa che cadendo atterrerebbe sulla realtà, trovandola non molto diversa dai luoghi fantasiosi della sua immaginazione.



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