domenica 26 settembre 2021

Le Carceri di Palazzo Steri a Palermo

 

Vi è una lunga strada da percorrere, per arrivare a comprendere ciò che ha fatto da culla e da sementi ai luoghi amati, soltanto conosciuti o ancora tutti da esplorare.
Talvolta non si narra di fatti piacevoli ma comunque affascinanti: di natura turbolenta, insana, sbagliata ma pur sempre rivelatoria dello stato di coscienza o incoscienza dell’essere umano; della concezione di giustizia improvvisata sull’esercizio di parametri tutt’altro che nobili. Giunti a Palermo che è tutta colori e profumi sferzanti, Palermo che è città feconda, orgogliosa e ferita, si viene avvolti dalla nobile arte dello stordimento: quello dato dalla bellezza, che maestosa e incantevole anche se imperfetta, rivede le coordinate, le inventa, si lascia guidare dall’improvvisazione. E passo dopo passo, può arrivare dritto fino alle carceri di Palazzo Steri.
Mettendoci piede si viene avvolti da una processione di piccoli brividi sulle braccia, a pizzicare pure la schiena; mentre gli occhi cercano appigli, con fame e con pudore; e misurano il perimetro di stanze piccole, che si immagina come raccoglitori di un dolore che non può aver cancellato le proprie tracce, neppure dopo tanto tempo.
 
Siamo ai tempi dell’Inquisizione, all’idea della tortura da usare come arma infallibile contro chi veniva ritenuto colpevole di un’esistenza non concepita come giusta e sana, marchiata come una colpa da punire. Le pareti conservano tracce di fortissimo impatto, del passaggio di quelle anime alla deriva: vi sono graffiti marcati sui muri, che i detenuti ottenevano amalgamando e usando i pochi materiali a loro disposizione: residui di carbone nei piani alti della costruzione, rimasti alla loro portata grazie alle stufe usate per riscaldare ambienti gelidi. Oppure argilla e terracotta miste ad acqua o urina, che venivano poi usati per raccontare una vita indegna su pareti che racchiudevano da sole, la forza distruttiva di un calvario ingiusto.



















“Manca Anima”, scriveva qualcuno. E da solo pare una preghiera per rischiarare un posto buio ed estraneo, che poteva facilmente accostarsi al proprio corpo-gabbia, a un guscio di carne che non poteva oltrepassare come l’anima, ogni ostacolo.
Ogni sorta di tortura veniva dunque inflitta a ebrei, musulmani, streghe e stregoni, omosessuali. Furono circa 8.000 le persone detenute, più di 500 quelle condannate al rogo. Una pratica diffusa era quella della corda: la vittima veniva legata per i polsi posizionati dietro la schiena e lasciata cadere dall’alto, provocando slogature a braccia e spalle.
Camminando a passi lievi nelle carceri di Palazzo Steri, si ripercorre con la mente anche la storia di Fra’ Diego La Matina, recluso ed evaso più volte dai luoghi dalla prigione che gli aveva portato nel tempo, diverse e atroci ferite. Il suo nome resta indimenticato, amato e curato anche da Leonardo Sciascia nel suo Morte dell’Inquisitore, perché dopo maltrattamenti disumani, riuscì a liberarsi dalle catene e uccise il suo inquisitore usando come arma proprio i ferri che lo tenevano inerme, sapendo che un simile atto lo avrebbe comunque condotto alla morte.
 
Sono molte le storie altrettanto forti, che si possono apprendere in un giorno come tanti: mentre fuori si resta affaccendati, innamorati, spersi, incantati; col naso immerso in un libro o una canzone a riempire la mente e scandire i passi sul selciato.
In un giorno a Palermo, basta poco per prestare ascolto a ciò che forse consideriamo poco: il senso della libertà nascosto nelle cose minime. E la fortuna di poter considerare, amare e ammirare l’arte e la storia, a dispetto del calderone di eventi orribili che talvolta racchiude.


      


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