Vi è
una lunga strada da percorrere, per arrivare a comprendere ciò che ha fatto da
culla e da sementi ai luoghi amati, soltanto conosciuti o ancora tutti da
esplorare.
Talvolta
non si narra di fatti piacevoli ma comunque affascinanti: di natura turbolenta,
insana, sbagliata ma pur sempre rivelatoria dello stato di coscienza o
incoscienza dell’essere umano; della concezione di giustizia improvvisata
sull’esercizio di parametri tutt’altro che nobili. Giunti a Palermo che è tutta
colori e profumi sferzanti, Palermo che è città feconda, orgogliosa e ferita,
si viene avvolti dalla nobile arte dello stordimento: quello dato dalla
bellezza, che maestosa e incantevole anche se imperfetta, rivede le coordinate,
le inventa, si lascia guidare dall’improvvisazione. E passo dopo passo, può arrivare
dritto fino alle carceri di Palazzo Steri.
Mettendoci
piede si viene avvolti da una processione di piccoli brividi sulle braccia, a
pizzicare pure la schiena; mentre gli occhi cercano appigli, con fame e con
pudore; e misurano il perimetro di stanze piccole, che si immagina come
raccoglitori di un dolore che non può aver cancellato le proprie tracce,
neppure dopo tanto tempo.
Siamo
ai tempi dell’Inquisizione, all’idea della tortura da usare come arma
infallibile contro chi veniva ritenuto colpevole di un’esistenza non concepita
come giusta e sana, marchiata come una colpa da punire. Le pareti conservano
tracce di fortissimo impatto, del passaggio di quelle anime alla deriva: vi
sono graffiti marcati sui muri, che i detenuti ottenevano amalgamando e usando
i pochi materiali a loro disposizione: residui di carbone nei piani alti della
costruzione, rimasti alla loro portata grazie alle stufe usate per riscaldare
ambienti gelidi. Oppure argilla e terracotta miste ad acqua o urina, che
venivano poi usati per raccontare una vita indegna su pareti che racchiudevano
da sole, la forza distruttiva di un calvario ingiusto.
“Manca
Anima”, scriveva qualcuno. E da solo pare una preghiera per rischiarare un
posto buio ed estraneo, che poteva facilmente accostarsi al proprio
corpo-gabbia, a un guscio di carne che non poteva oltrepassare come l’anima,
ogni ostacolo.
Ogni
sorta di tortura veniva dunque inflitta a ebrei, musulmani, streghe e stregoni,
omosessuali. Furono circa 8.000 le persone detenute, più di 500 quelle
condannate al rogo. Una pratica diffusa era quella della corda: la vittima
veniva legata per i polsi posizionati dietro la schiena e lasciata cadere
dall’alto, provocando slogature a braccia e spalle.
Camminando
a passi lievi nelle carceri di Palazzo Steri, si ripercorre con la mente anche
la storia di Fra’ Diego La Matina, recluso ed evaso più volte dai luoghi dalla
prigione che gli aveva portato nel tempo, diverse e atroci ferite. Il suo nome
resta indimenticato, amato e curato anche da Leonardo Sciascia nel suo Morte dell’Inquisitore, perché dopo
maltrattamenti disumani, riuscì a liberarsi dalle catene e uccise il suo
inquisitore usando come arma proprio i ferri che lo tenevano inerme, sapendo
che un simile atto lo avrebbe comunque condotto alla morte.
Sono
molte le storie altrettanto forti, che si possono apprendere in un giorno come
tanti: mentre fuori si resta affaccendati, innamorati, spersi, incantati; col
naso immerso in un libro o una canzone a riempire la mente e scandire i passi
sul selciato.
In un
giorno a Palermo, basta poco per prestare ascolto a ciò che forse consideriamo
poco: il senso della libertà nascosto nelle cose minime. E la fortuna di poter
considerare, amare e ammirare l’arte e la storia, a dispetto del calderone di
eventi orribili che talvolta racchiude.