martedì 26 maggio 2020

Sicilian Ghost Story



C’era una volta un corpo in vita e una notte da sviscerare senza sosta, come i discorsi ingoiati troppo a lungo e con l’urgenza che ne viene. C’erano voci, affetti in carne ed ossa da abbracciare, e storie a lieto fine a bussare alle porte del sogno. Qualcuno le ha raccolte in una pellicola del 2017 dal titolo Sicilian Ghost Story: un film generoso nello sguardo offerto ai protagonisti, che trabocca fantasie impilate strette entro un racconto che si ripropone di essere sincero e carezzevole. Come in un imbuto, ogni sguardo e sensazione sono resi visibili, vivibili; e una goccia dopo l’altra corrono e si allargano, riempiendo un bacino più ampio: la narrazione si muove ad occhi chiusi e a respiro contenuto, sotto l’acqua, sotto terra, con il mare che si avverte negli odori e nel blu da perdere la cognizione della realtà presente, anche quando è nascosto oltre le linee ondulate e polverose della terra. Così si esiste, talvolta: di pose arcuate che molleggiano nelle frazioni di un tempo passato, oscillano lievi, si pentono, guardano al futuro come a una cosa allettante che però può aspettare. Tutto appare chiaro come un invito e spaventevole al contempo, dalla prospettiva imprevedibile del bisogno; e rallenta gli addii che non sanno di essere tali fino all'ultimo e raccolgono scorte d’aria e indizi utili alla volontà di resistere alle pieghe inaspettate che prende l’esistenza, certe volte.
Togliere la pelle al vero è quanto di più osceno vi sia, per chi vorrebbe celare ogni verità, cibarsi di opportunismo, saziare la bocca, le mani e gli interessi, ben prima della pancia. In Sicilian Ghost Story i personaggi si muovono come su una tela: chi vive per rinunciare, e chi coi nodi in gola intreccia un canto, sapendo come scioglierli quando serve. Fabio Grassadonia e Antonio Piazza sono l’occhio e l’impronta del regista; una parte di un lavoro minuzioso e attento che ha permesso a chi osserva le vicende già note, di raccogliere un passaggio in più, un’intimità che non è forzata né inopportuna; che vede nascere del buono e lo segue per non scordare che pure nei pressi di ciò che è marcio, qualcosa prima o poi potrà fiorire.
La storia è quella di Luna e Giuseppe: ragazzi adolescenti animati da una Sicilia amata, languida, terra di dei. Ragazzi alle prese con un’identità che dovrebbe restare ben staccata dagli errori e dalle scelte di chi è venuto al mondo prima di loro e ha tentato di cambiarlo con ogni proposito buono o cattivo. Ma è ingiusto destino dei due, quello di sperimentare sulla propria pelle gli errori commessi dai genitori: da una parte, Luna si trova a destreggiarsi tra un amore così forte e nuovo da renderla fiera, coraggiosa, tutta e solo votata a un istinto che ha forze animali e che la ragione non sa moderare. La giovane donna sorride e parla con un gufo che la osserva da vicino tutte le volte che lei trova rifugio nelle parti più basse e nascoste di una casa che non ha calore e colore, e somiglia alla madre che compare in molte scene e resta anonima, tentando invano di curare un’idea di famiglia che non trova sviluppo fuori dalla sua mente. Luna è innamorata di Giuseppe: disegna stelle per lui, e libera parole che cadono nel punto desiderato con precisione millimetrica e tornano alle formule bambine del “mi ami oppure no?”, e “vuoi metterti con me?” con tanto di quadretti marcati a forza sulla carta e crocetta da apporre sopra un sì o un no. Al di là del numero di anni portati, quella sentenza segnava scenari più o meno ampi e sofferti.
Giuseppe la ama, non serve dirlo ma lui lo dice: potrebbe dire tutto, vorrebbe. E lo fa osando baci timidi e sorrisi larghi, rincuoranti, fino a che qualcuno con l’inganno gli sottrae possibilità e visioni future. Giuseppe Di Matteo è stato proprio vero e vivo, non è soltanto immaginario. Ha avuto vita breve e voglie sciolte a perdifiato, ha conosciuto luoghi bui, freddi, distanti da casa: rapito per fare uno sgarro al padre che era un boss mafioso, spera di tornare libero pur sapendo ad un certo punto che nessuno lo avrebbe salvato se non la sua Luna, almeno nei mondi di inchiostro e di sonno. Con l’acqua i due sembrano tornare nel grembo materno, regredire e rinascere. Nell’acqua trovano un passaggio segreto che li fa guarire nelle ferite del corpo, nella memoria offesa e nelle promesse smezzate senza colpa, protese senza soluzione. Rinchiuso lui e rinchiusa lei, in un tempo di magre consolazioni e tentativi inutili di tornare a casa insieme sulle gambe e in corsa, mano nella mano.
Perfino quando il corpo si dissolve, il ricordo resta intatto. Lo spiega bene un film che in ogni punto tiene in caldo l’emotività, la luce densa, i colori vivi come le speranze, a dispetto della morte venuta a rubare il passo a chi voleva esserci. Un germoglio di quello che era continuerà ad esistere, mentre qualcuno affiderà a un disegno sul muro, un passaggio tanto lungo e la pozione imbattuta delle rivoluzioni migliori.



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