Sicilian Ghost Story
C’era
una volta un corpo in vita e una notte da sviscerare senza sosta, come i
discorsi ingoiati troppo a lungo e con l’urgenza che ne viene. C’erano
voci, affetti in carne ed ossa da abbracciare, e storie a lieto fine a bussare
alle porte del sogno. Qualcuno le ha raccolte in una pellicola del 2017 dal titolo Sicilian Ghost Story: un film generoso nello sguardo offerto ai
protagonisti, che trabocca fantasie impilate strette entro un racconto che si
ripropone di essere sincero e carezzevole. Come in un imbuto, ogni sguardo e
sensazione sono resi visibili, vivibili; e una goccia dopo l’altra corrono e si
allargano, riempiendo un bacino più ampio: la narrazione si muove ad occhi
chiusi e a respiro contenuto, sotto l’acqua, sotto terra, con il mare che si
avverte negli odori e nel blu da perdere la cognizione della realtà presente,
anche quando è nascosto oltre le linee ondulate e polverose della terra. Così
si esiste, talvolta: di pose arcuate che molleggiano nelle frazioni di un tempo
passato, oscillano lievi, si pentono, guardano al futuro come a una cosa
allettante che però può aspettare. Tutto appare chiaro come un invito e
spaventevole al contempo, dalla prospettiva imprevedibile del bisogno; e rallenta gli addii che non sanno di essere tali fino all'ultimo e raccolgono scorte d’aria e indizi utili alla volontà di resistere alle
pieghe inaspettate che prende l’esistenza, certe volte.
Togliere
la pelle al vero è quanto di più osceno vi sia, per chi vorrebbe celare ogni
verità, cibarsi di opportunismo, saziare la bocca, le mani e gli interessi, ben
prima della pancia. In Sicilian Ghost
Story i personaggi si muovono come su una tela: chi vive per rinunciare, e
chi coi nodi in gola intreccia un canto, sapendo come scioglierli quando serve.
Fabio Grassadonia e Antonio Piazza sono l’occhio e l’impronta del regista; una parte
di un lavoro minuzioso e attento che ha permesso a chi osserva le vicende già
note, di raccogliere un passaggio in più, un’intimità che non è forzata né
inopportuna; che vede nascere del buono e lo segue per non scordare che pure
nei pressi di ciò che è marcio, qualcosa prima o poi potrà fiorire.
La
storia è quella di Luna e Giuseppe: ragazzi adolescenti animati da una Sicilia
amata, languida, terra di dei. Ragazzi alle prese con un’identità che dovrebbe
restare ben staccata dagli errori e dalle scelte di chi è venuto al
mondo prima di loro e ha tentato di cambiarlo con ogni proposito buono o
cattivo. Ma è ingiusto destino dei due, quello di sperimentare sulla propria
pelle gli errori commessi dai genitori: da una parte, Luna si trova a
destreggiarsi tra un amore così forte e nuovo da renderla fiera, coraggiosa,
tutta e solo votata a un istinto che ha forze animali e che la ragione non sa
moderare. La giovane donna sorride e parla con un gufo che la osserva da vicino
tutte le volte che lei trova rifugio nelle parti più basse e nascoste di una
casa che non ha calore e colore, e somiglia alla madre che compare in molte
scene e resta anonima, tentando invano di curare un’idea di famiglia che non
trova sviluppo fuori dalla sua mente. Luna è innamorata di Giuseppe: disegna
stelle per lui, e libera parole che cadono nel punto desiderato con precisione
millimetrica e tornano alle formule bambine del “mi ami oppure no?”, e “vuoi
metterti con me?” con tanto di quadretti marcati a forza sulla carta e crocetta
da apporre sopra un sì o un no. Al di là del numero di anni portati, quella
sentenza segnava scenari più o meno ampi e sofferti.
Giuseppe
la ama, non serve dirlo ma lui lo dice: potrebbe dire tutto, vorrebbe. E lo fa
osando baci timidi e sorrisi larghi, rincuoranti, fino a che qualcuno con
l’inganno gli sottrae possibilità e visioni future. Giuseppe Di Matteo è stato
proprio vero e vivo, non è soltanto immaginario. Ha avuto vita breve e voglie sciolte
a perdifiato, ha conosciuto luoghi bui, freddi, distanti da casa: rapito per
fare uno sgarro al padre che era un boss mafioso, spera di tornare libero pur
sapendo ad un certo punto che nessuno lo avrebbe salvato se non la sua Luna,
almeno nei mondi di inchiostro e di sonno. Con l’acqua i due sembrano tornare
nel grembo materno, regredire e rinascere. Nell’acqua trovano un passaggio
segreto che li fa guarire nelle ferite del corpo, nella memoria offesa e nelle
promesse smezzate senza colpa, protese senza soluzione. Rinchiuso lui e rinchiusa
lei, in un tempo di magre consolazioni e tentativi inutili di tornare a casa
insieme sulle gambe e in corsa, mano nella mano.
Perfino
quando il corpo si dissolve, il ricordo resta intatto. Lo spiega bene un film
che in ogni punto tiene in caldo l’emotività, la luce densa, i colori vivi come
le speranze, a dispetto della morte venuta a rubare il passo a chi voleva
esserci. Un germoglio di quello che era continuerà ad esistere, mentre qualcuno affiderà a un disegno sul muro, un passaggio tanto lungo e la pozione imbattuta delle
rivoluzioni migliori.
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