lunedì 18 maggio 2020

Alfabeto Mondo, Romanzo Abbecedario





Il vento gonfia le tende sui balconi come le vele dei marinai. Nessuno grida terra, qui. Semmai bisbiglia mare, mare piccino, mare dalle finestre, mare abbottonato su un ritaglio di cielo. Gli occhielli sono le ali dei gabbiani, le nubi sfilacciate, abbracciate dalle spinte poderose di un’aria che non si può vedere. Io mi pento di non essere acqua, di non essere volo, certe volte. Perciò mi immergo e mi schianto in letture che mi accolgono per contrasto con dolcezza e malinconie amiche e sorelle: io che di sorelle non ne ho trovo nelle parole le più potenti alleate, gli scontri salvifici. E siccome avevo voglia di non restare coi piedi per terra sono andata via, ho preso casa nelle parole di una persona che scrive, di uno che si sporca con la fantasia: lo cogli con le mani in pasta e lui ride perché sporcarsi è bello, i bambini si sporcano sempre e allora deve essere giusto. Tito Pioli narra le storie perché lo abitano, si sente; e non è uno da moine: lo si trova tra le pieghe dei sorrisi, non ha mica paura di usarli. L’ho conosciuto una sera che metteva riflessi argentini tra le parole: belle quelle degli altri, lontane e vicine ai miei impacci. Per le stradine di Parma, stradine liquide intinte nelle luci d’ambra dei lampioni, osservavo il pietrisco, le case lavate dall’acqua piovuta dal cielo, i passi come rintocchi d’orologio a segnare un tempo veloce, un tempo di cose nuove. Vorrei vivere di felicità simili che non esagerano con la pretesa di cose grandiose, ma conoscono quel nuovo, ciò che per altri è usuale. E allora anche chi vede le cose col vizio dell’abitudine scopre che forse non è proprio tutto lì, quello che c’è da amare. Forse tra gli strati del sonno, della noia e delle incombenze, ecco spuntare un momento di assoluta perfezione; come chi sente di esserci, finalmente: e perché mai se ne era scordato fino ad allora?

Tito è una presenza pacata, cordiale; e si muove sottovoce, sottovento: sotto, come in una parte del suo “Alfabeto mondo, romanzo abbecedario”, segnalato al Premio Calvino nel 2015. Le pagine corrono liquide, le si vorrebbe fermare. Le lettere dell’alfabeto si presentano di volta in volta: ciascuna di quelle contiene un micro-mondo. Un’esistenza fatta di Armonie e di Assenze, di Bagni pubblici e di Cattiverie. Fatti Vivo è una preghiera senza recita. Giardini sul Tuo Corpo rivede ogni coordinata: bastano nei come costellazioni, dita che hanno appreso e poi scordato ogni esitazione. Serve che si accordi il respiro al respiro, poiché quello frena se è tempo di ridiscendere i pendii delle cosce, dei seni, dell’incavo del collo: come si fa altrimenti a bagnarsi nelle piccole conche sulle clavicole, e a sapere che sono mature le labbra come un frutto, come le gote, come il tempo per osare? In Fondo c’è un uomo che sa stare fra gli ultimi e non gli pesa, uno che non smania, uno che contempla. Il Letto lo avrebbe amato Orwell: è un campo di battaglia, un campo di speranze arse come spighe baciate dal sole. Con Madre allo Specchio si piangono lacrime di lago e di cascata, ma si piangono pure lacrime asciutte e segrete. Gli Occhi di Egon Schiele sono l’arte, l’amore, i grovigli, le voglie come non le si vedono mai con gli occhi nostri: occhi di umani bassi, paffuti, occhi di facce spente coi sogni logori a ingobbire. E le puttane sanno storie incredibili, a quanto le dovrebbero vendere le parole? Poi c’è una Truccatrice di Morti che fa come i gatti: si muove tra due mondi, non teme i confini. Gode senza pudore, senza assurdo, senza inganno. Se mi cercate, mi troverete tra Zebre e Ladri: ho scoperto una parte di me e sulla carta la amo. Ma solo sulla carta, fuori è un altro mondo.

Tito ha gli occhi azzurro cielo, azzurro acqua, azzurro da chi si ferma è perduto, e infatti chi lo legge sa bene che lui non si ferma mai e sente pure il solletico dei fiori che crescono nella pancia della terra. Invece i miei occhi sono terrosi, anche se al sole lambiscono tinte d’ambra e di miele. Quando parlo con il caro Pioli, mi vengono in testa cose sconfinate. Ma ho parole piccole tipo:

È vero che sei il cappellaio matto, Tito? E se non sei lui, dimmi: quando è stata l’ultima volta che ne hai visto uno?

Il Cappellaio Matto era Mario Tommasini di Parma che ha speso la sua vita per la chiusura dei manicomi e perché fossero integrati nella nostra società. Quella è la pazzia, avere il coraggio delle rivoluzioni.

Dimmi una cosa da pazzi, come quando in Alfabeto Mondo scrivi: «C'era crisi sulla terra, di sesso, di soldi, di tutto e allora bisognava andare nei cessi pubblici a cercare qualche sorpresa, a me piacevano le ragazze ma adesso andava bene tutto, maschio, femmina, e l'importante era come si spogliavano, mica culi, tette, bocche, era come si spogliavano». Come ci si spoglia, voglio sapere. Se siamo ancora capaci di vederci oltre la carne, se non siamo pelle rinsecchita, pelle di abito e non più pelle di fiore, pelle di luna. Possibile che uno si spogli parlando? Esiste mica un galateo da infliggersi per queste cose qui?

Si le tue domande sono più folli del libro. Ci sono molti modi per spogliarsi credo infiniti nei gesti se uno li guarda al replay ci si può spogliare anche cantando o pregando una volta con una mia amica ci siamo spogliati parlando in latino. Il brano per modo di dire è il brano più importante perché i veri grandi poteri li hanno le persone con dei problemi mentali o sociali o fisici.

Si può dire che i grandi poteri si nutrono di disperazione? E che sbaglia di grosso chi sostiene che quest’ultima sia una spinta alla vita più che alla morte? Vedi il Colonnello Nanetti, uno solo tra gli esempi che potrei farti. Lui si è spinto fin nello spazio pure avendo le mani legate, la mente, il corpo offeso da leggi non sue. Qual è il tuo potere? E dove ti porta?

Le grandi opere nascono da grandi drammi. Io non ho poteri sono solo curioso guardo a quello che non c’è.

Chiudiamo in bellezza e senza troppo pensare: mi dici una poesia, un dipinto e una canzone che ti sono cari? Dentro o fuori da questo abbecedario, scegli tu.

Marilyn di Pasolini, la Cacciata di Adamo ed Eva di Masaccio, Gracias a la Vida.

 

 


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