giovedì 5 agosto 2021

La Gelosia in Alfredo Oriani

 


Vi sono parti ben riposte, come la fiducia nelle cure di una persona amica o tra le pagine di un libro, che coincidono alla perfezione. Gli affetti si ritrovano con facilità insperata, a volte, proprio come la sintonia allacciata con le parole che ancora rilasciano odori di un passato remoto e ben teso tra maglie del tempo. Alcune letture non hanno nomi e forme comuni ai giorni attuali, eppure con questi stringono un legame di totale comprensione e di supporto a una capacità di pensare e immedesimarsi tratte con difficoltà in mezzo alle cose dovute, arrese, alle cose futili che non di rado riempiono le ore con inutili affanni.
Leggere invece restituisce tempo al tempo, fa generose le ore colme di storie nuove e riflessioni a creare spazi interiori e interpersonali di volta in volta più fecondi: accade infatti di trovarsi profondi e inesplorati, e di scoprire delle affinità con anime sparse e mai conosciute prima. I libri e i mondi che contengono non conoscono confini o impedimenti, per chi li accoglie e condivide per mezzo della parola e degli sguardi, ben più che sui social.
Gelosia di Alfredo Oriani (Divergenze) è un esempio più che efficace di espressività non solo compresa ma facile da incontrare e amare, nonostante la molta strada percorsa col suo fagotto di contenuti e descrizioni incantevoli: dal 1894 sino a qui, e non la minima traccia di stanchezza fra le righe. Dalla prima pagina si viene accolti da un racconto dei luoghi vissuti e amati, quasi fotografico. Ai contorni terrosi e dorati, si unisce una riflessione intesa in più versi: come di cosa che si accoglie da fuori e mette ancora in circolo uno spettro di sensazioni disparate, a scompigliare il dentro; e come pensiero covato in segreto e ben oliato con la febbre, il conforto, la speranza di essere vivi con convinzione e con trasporto autentici: «La strada, larga e dritta, in quell’incendio di sole sembrava confondersi col tremolìo dell’aria, entro la quale la polvere, sollevandosi, metteva tratto tratto una nebbia giallognola. Il caldo era soffocante. L’ombra, ritiratasi sotto gli alberi, ne allargava la base dei tronchi, e l’erba appariva sporca sui margini dei fossi, mentre nella strada solitaria il solco dei veicoli e l’orma dei piedi si vedevano sino molto lungi, profondi quanto nel fango.
Non s’incontrava anima viva. Solo il coro delle cicale, nascoste fra le fronde, seguitava a cantare con tale monotonia, che vi si sentiva sotto l’oppressione del silenzio. Poi qualche uccello, staccandosi dalla cima di un albero, sembrava gettare un lieve strido d’impazienza, e passava rapido nel sole».
 
È in un cono di luce, in un’atmosfera densa e ambrata, che si allarga il gioco sottile e malsano che vedrà restringere il cerchio intorno a pochi personaggi e poi ad uno soltanto, che risponde al nome di Mario: giovane uomo dalle vesti distinte e dai modi discutibili, che non ha mordente eppure ha pretese di mordere un amore ostinato, ossessivo e fugace, che ha ben poco di ingenuo e spontaneo; chi risponde con capriccio e rari istanti di esultanza al malato amore di Mario è Annetta, che viene subito inquadrata da Oriani come una donna dal temperamento sfrontato e vivace di una bambina: «i suoi occhi troppo grandi, di un verde che talvolta pareva turchino, non avevano abbastanza luce; la sua bocca fresca, coi denti bianchissimi, parlava e rideva colla stessa vivacità; le sue guance avevano la brina delle pesche, mentre la sua fronte liscia, di un bianco più intenso, pareva una benda sotto l’oro ardente dei capelli».
Con un solo guizzo nello sguardo, lei accende e spegne le esaltazioni di un uomo come Mario che resta nell’ombra, figura cupa e bistrattata da sé stesso più che dalle benevolenze di un avvocato, marito di Annetta, che vive realmente la vita immaginaria, negata quasi per dispetto a chi ama di un amore illecito, lontano dalle cose concesse per legge amorosa e divina.
E qui l’amore prende una piega da raddrizzare, vive in pieno la negazione di un’armonia che ne muove i fili quando tutto fila liscio: il tradimento non è mai ammesso a chiare lettere; e l’affronto sotto gli occhi di tutti, contempla l’offesa alla lealtà mista a un orgoglio non opportunamente omaggiato: così Mario si vendica con pochi gesti anche teatrali di quella vita che lo ha schivato per un soffio, del desiderio di ogni cosa che lo incatena a un’attesa nuda e febbrile. Mentre gli altri avanzano, lui resta solo a guardare.
 
La caratterizzazione dei personaggi avviene per mano di Oriani con una facilità che spiazza e che gioca spesso per contrasti. Annetta col suo fare impetuoso, viene presentata in un contesto che in nulla le somiglia: spunta infatti come un piccolo sole al chiuso di una stanza disadorna, puntellata di attenzioni scarse e imbastite da mani disattente, coi piatti di maiolica spaiati, foglie di vite sotto i bicchieri e vecchie posate d’argento: pallido bagliore in un insieme opaco, cadente. Tra pareti anonime, un tavolino zoppo e sedie malconce, verrà un pasto frugale diviso con pochi e molte parole non dette a piovere nei silenzi, nei muti gesti d’intesa, nella spasmodica attesa di un momento rubato allo scorrere di un’esistenza avvertita come ingiusta e insensibile a qualsiasi forma di ribellione, di consapevolezza e riscatto.
Nulla importa davvero, se non la gelosia che nomina e scandisce i ritmi di un romanzo che sfodera verità scomode con un’agilità e partecipazione che non possono lasciare indifferenti; una gelosia che rivede il concetto di amore e lo riduce a «un incontro fortuito, fors’anco prestabilito dalla natura fra due individui, breve e violento, dopo il quale ognuno ripigliava la propria strada, ricordandosi appena dell’altro, spesso conservandone una impressione antipatica». È un residuo di amore, messo in dubbio da parole tutt’altro che pacifiche e anzi risentite, pungenti; una rabbia vibrante e china su di sé, ripiegata, scordata, rinnegata, a dare voce a Mario ancora una volta, che «come tutti i gelosi, avrebbe voluto lasciare sulla donna la propria impronta, cristallizzandola nella adorazione di se stesso».
 
Il tormento e la fame di attenzioni da una sola e imprendibile donna, sono il filo che tutto lega, annoda e disfa. La pretesa dell’altro al di sopra di ogni evidenza, e la verità cruda e non voluta, tornano a ribattere in ogni punto, su ogni pagina, il destino già segnato per chi non vuole intendere altro che la propria fine.
Alfredo Oriani ha una scrittura a tratti trasognata, e al contempo terrena, agile, capace di incidere a fondo senza neppure forzare la mano; e deliziosamente antica: nel leggere sembra di rovistare nei cassetti, nei bauli impolverati, in cerca di tesori smessi, scoperti e amati ancora con rinnovata forza.

Alfredo Oriani: Gelosia. 
(Divergenze)



Nessun commento:

Posta un commento