Vi
sono parti ben riposte, come la fiducia nelle cure di una persona amica o tra
le pagine di un libro, che coincidono alla perfezione. Gli affetti si ritrovano
con facilità insperata, a volte, proprio come la sintonia allacciata con le
parole che ancora rilasciano odori di un passato remoto e ben teso tra maglie
del tempo. Alcune letture non hanno nomi e forme comuni ai giorni attuali,
eppure con questi stringono un legame di totale comprensione e di supporto a
una capacità di pensare e immedesimarsi tratte con difficoltà in mezzo alle
cose dovute, arrese, alle cose futili che non di rado riempiono le ore con
inutili affanni.
Leggere
invece restituisce tempo al tempo, fa generose le ore colme di storie nuove e riflessioni
a creare spazi interiori e interpersonali di volta in volta più fecondi: accade
infatti di trovarsi profondi e inesplorati, e di scoprire delle affinità con
anime sparse e mai conosciute prima. I libri e i mondi che contengono non
conoscono confini o impedimenti, per chi li accoglie e condivide per mezzo
della parola e degli sguardi, ben più che sui social.
Gelosia di Alfredo Oriani (Divergenze) è
un esempio più che efficace di espressività non solo compresa ma facile da
incontrare e amare, nonostante la molta strada percorsa col suo fagotto di
contenuti e descrizioni incantevoli: dal 1894 sino a qui, e non la minima
traccia di stanchezza fra le righe. Dalla prima pagina si viene accolti da un
racconto dei luoghi vissuti e amati, quasi fotografico. Ai contorni terrosi e
dorati, si unisce una riflessione intesa in più versi: come di cosa che si
accoglie da fuori e mette ancora in circolo uno spettro di sensazioni
disparate, a scompigliare il dentro; e come pensiero covato in segreto e ben
oliato con la febbre, il conforto, la speranza di essere vivi con convinzione e
con trasporto autentici: «La strada, larga e dritta, in quell’incendio di sole
sembrava confondersi col tremolìo dell’aria, entro la quale la polvere,
sollevandosi, metteva tratto tratto una nebbia giallognola. Il caldo era
soffocante. L’ombra, ritiratasi sotto gli alberi, ne allargava la base dei
tronchi, e l’erba appariva sporca sui margini dei fossi, mentre nella strada
solitaria il solco dei veicoli e l’orma dei piedi si vedevano sino molto lungi,
profondi quanto nel fango.
Non
s’incontrava anima viva. Solo il coro delle cicale, nascoste fra le fronde,
seguitava a cantare con tale monotonia, che vi si sentiva sotto l’oppressione
del silenzio. Poi qualche uccello, staccandosi dalla cima di un albero,
sembrava gettare un lieve strido d’impazienza, e passava rapido nel sole».
È in
un cono di luce, in un’atmosfera densa e ambrata, che si allarga il gioco
sottile e malsano che vedrà restringere il cerchio intorno a pochi personaggi e
poi ad uno soltanto, che risponde al nome di Mario: giovane uomo dalle vesti
distinte e dai modi discutibili, che non ha mordente eppure ha pretese di
mordere un amore ostinato, ossessivo e fugace, che ha ben poco di ingenuo e
spontaneo; chi risponde con capriccio e rari istanti di esultanza al malato
amore di Mario è Annetta, che viene subito inquadrata da Oriani come una donna
dal temperamento sfrontato e vivace di una bambina: «i suoi occhi troppo
grandi, di un verde che talvolta pareva turchino, non avevano abbastanza luce;
la sua bocca fresca, coi denti bianchissimi, parlava e rideva colla stessa
vivacità; le sue guance avevano la brina delle pesche, mentre la sua fronte
liscia, di un bianco più intenso, pareva una benda sotto l’oro ardente dei
capelli».
Con
un solo guizzo nello sguardo, lei accende e spegne le esaltazioni di un uomo
come Mario che resta nell’ombra, figura cupa e bistrattata da sé stesso più che
dalle benevolenze di un avvocato, marito di Annetta, che vive realmente la vita
immaginaria, negata quasi per dispetto a chi ama di un amore illecito, lontano
dalle cose concesse per legge amorosa e divina.
E qui
l’amore prende una piega da raddrizzare, vive in pieno la negazione di
un’armonia che ne muove i fili quando tutto fila liscio: il tradimento non è
mai ammesso a chiare lettere; e l’affronto sotto gli occhi di tutti, contempla
l’offesa alla lealtà mista a un orgoglio non opportunamente omaggiato: così
Mario si vendica con pochi gesti anche teatrali di quella vita che lo ha
schivato per un soffio, del desiderio di ogni cosa che lo incatena a un’attesa
nuda e febbrile. Mentre gli altri avanzano, lui resta solo a guardare.
La
caratterizzazione dei personaggi avviene per mano di Oriani con una facilità
che spiazza e che gioca spesso per contrasti. Annetta col suo fare impetuoso,
viene presentata in un contesto che in nulla le somiglia: spunta infatti come
un piccolo sole al chiuso di una stanza disadorna, puntellata di attenzioni
scarse e imbastite da mani disattente, coi piatti di maiolica spaiati, foglie
di vite sotto i bicchieri e vecchie posate d’argento: pallido bagliore in un
insieme opaco, cadente. Tra pareti anonime, un tavolino zoppo e sedie malconce,
verrà un pasto frugale diviso con pochi e molte parole non dette a piovere nei
silenzi, nei muti gesti d’intesa, nella spasmodica attesa di un momento rubato
allo scorrere di un’esistenza avvertita come ingiusta e insensibile a qualsiasi
forma di ribellione, di consapevolezza e riscatto.
Nulla
importa davvero, se non la gelosia che nomina e scandisce i ritmi di un romanzo
che sfodera verità scomode con un’agilità e partecipazione che non possono
lasciare indifferenti; una gelosia che rivede il concetto di amore e lo riduce
a «un incontro fortuito, fors’anco prestabilito dalla natura fra due individui,
breve e violento, dopo il quale ognuno ripigliava la propria strada,
ricordandosi appena dell’altro, spesso conservandone una impressione
antipatica». È un residuo di amore, messo in dubbio da parole tutt’altro che
pacifiche e anzi risentite, pungenti; una rabbia vibrante e china su di sé,
ripiegata, scordata, rinnegata, a dare voce a Mario ancora una volta, che «come
tutti i gelosi, avrebbe voluto lasciare sulla donna la propria impronta,
cristallizzandola nella adorazione di se stesso».
Il
tormento e la fame di attenzioni da una sola e imprendibile donna, sono il filo
che tutto lega, annoda e disfa. La pretesa dell’altro al di sopra di ogni
evidenza, e la verità cruda e non voluta, tornano a ribattere in ogni punto, su
ogni pagina, il destino già segnato per chi non vuole intendere altro che la
propria fine.
Alfredo
Oriani ha una scrittura a tratti trasognata, e al contempo terrena, agile, capace
di incidere a fondo senza neppure forzare la mano; e deliziosamente antica: nel
leggere sembra di rovistare nei cassetti, nei bauli impolverati, in cerca di
tesori smessi, scoperti e amati ancora con rinnovata forza.
Alfredo Oriani: Gelosia. (Divergenze) |
Nessun commento:
Posta un commento