giovedì 3 febbraio 2022

E io che Non Sono Brava a Strappare Lungo i Bordi?

 
Non dico che tutta questa cosa di Strappare Lungo i Bordi adesso non faccia più rumore. Dico che ne fa un pochino meno, e quindi ha smesso di annoiarmi per la nube di cose e cosacce dette e ridette. La folla non mi piace neppure in senso metaforico: troppo rumore, troppe opinioni, e ora pure la mia che però non gira intorno alla più gettonata: l’uso costante, onnipresente, imperante del dialetto romano. Tanto che pure Zerocalcare a un certo punto lo dice: 💀 
Madonna regà ma come ve va de ingarellavve su sta cosa 💀. Ciao, dono della sintesi. E poi mi chiedo: ma davvero Roma e i romani hanno un dialetto? Mi diverte il fatto un po' paradossale che fa sembrare che parlino in maniera arruffata e tragicomica, anche quando pensano che non sia così.
Ma io non ho proprio nulla contro queste cose, che mi sembrano peculiarità e/o scelte artistiche, a volte furbate, altre volte che ne so. Il mio punto lo faccio tutto intorno a una considerazione: se muove qualcosa in me, allora mi piace. È un’equazione semplicissima, anche perché di calcoli complicati io non ne ho mai saputi fare.
Visto che dire male sempre, male ad ogni costo, male per partito preso, male perché di nuovo fa rumore e fa notizia, io mi chiedo: ma quanta energia hanno alcuni, per accanirsi contro ciò che non incontra i loro gusti? Non sanno restare indifferenti o esprimere un parere contrario; devono impuntarsi con tanto di fumo a uscire dalle orecchie.
Io posso dire che Strappare Lungo i Bordi mi è piaciuto. Che ho tenuto in sospeso l’ultimo episodio per una settimana circa, perché non volevo che la serie finisse. Posso dire che mi ha fatto molto ridere, pure da siciliana, pure da persona che non ha un senso della comicità caciarona e avvilente alla cinepanettone; non perché io abbia pretese da intellettuale ma perché proprio trovo squallido un certo tipo di approccio.
Quello alla Zerocalcare nella sopracitata serie, l’ho trovato coinvolgente, genuino, a tratti ritagliato su di me. È vero che spesso fa leva su vizi e manie di molti, ma lo sa fare, ben venga, sia lodato l’armadillo!
Strappare Lungo i Bordi è un concentrato di cose arruffate, tragicomiche e profonde, da poterne stilare una lista, da vederle tutte addosso a personaggi così ben creati e descritti. E cattura in pieno un sentimento agrodolce di mancata rivalsa e tenacia latente: quella che tocca e rivolta le anime inquiete, per qualche motivo sospinte ai margini. Quelle che speravano di potersi sollevare da una sagoma tratteggiata sopra un foglio, con linee guida che servissero a non tracimare, a non lasciarsi divorare da creature ben più spaventose della propria coscienza-armadillo. Deve esserci un mostro dalle fauci spaventose da qualche parte, chiamato sfiducia, o forse disillusione. Fallimento no: da quello ci si rialza certe volte, pure ammaccati, pure con le stelline a danzare intorno alla testa come nei cartoni animati. E insomma, pensavamo di avere per noi il candore di un foglio proprio bello. «Invece sotto l’occhi c’abbiamo solo ‘ste cartacce senza senso, che so’ proprio distanti dalla forma che avevamo pensato. Io non lo so se questa è ancora ‘na battaglia oppure se ormai è annata così, che avemo scoperto che se campa pure co ste forme frastagliate, accettando che non ce faranno mai giocà nella squadra di quelli ordinati e pacificati. Però se potemo comunque strigne intorno al fuoco e ricordasse che tutti i pezzi de carta so boni per scaldasse. E certe volte quel fuoco te basta, e altre volte no».
 
Poi c’è Sarah che è una tosta, e come darle torto quando dice che «le persone so’ complesse: hanno lati che non conosci, hanno comportamenti mossi da ragioni intime e insondabili dall’esterno. Noi vediamo solo un pezzetto piccolissimo di quello che c’hanno dentro e fuori. E da soli non spostiamo quasi niente. Siamo fili d’erba, ti ricordi?».
Io vorrei tanto continuare a essere un filo d’erba. A me non importa farmi bosco o siepe, mi basta pensare di avere intorno i fili d’erba giusti. E sperare che a volte qualcuno voglia affidarmi e confidarmi un pezzetto del suo verde: come ha fatto a renderlo brillante, opaco, perché sta lì sdraiato al suolo, perché la notte indossiamo tutti un buio che a contare gli attimi pare infinito. E come fa la rugiada a imperlare i fili che siamo, come le lacrime con le quali ci affermiamo: palesi, arresi ma non troppo, strappati male da un foglio sbrindellato ma comunque tanto vivi. Così tanto che vorremmo esserlo ancora e di più, anche a costo di tratteggiare noi stessi le linee di un'esistenza mandata fuori strada, fuori corso. Anche a costo di dare alle istruzioni del nostro stesso montaggio una lingua qualunque, pure una inventata: sapremo tradurla con calma, risate, lacrime e ostinazione, in base al bisogno.

💀 Questa sono io, che ultimamente prendo alla lettera gli insegnamenti dell'Armadillo. 


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